Amo immaginare la
mia famiglia così come la desiderava mio nonno Imerio, padre di mio
padre.
Il nonno era nato
a Casalbuttano, per la precisione a San Vito, provincia ovest di
Cremona; parlava un dialetto farcito di quelle che gli abitanti di
città chiamano espressioni biafole,
ovvero campagnole, triviali, in altre parole rozze. Ma anche lui,
come la nonna, che invece era nata nel quartiere dei pescatori e dei
commercianti di sale (il quartiere di S. Pietro al Porto, pieno
centro di Cremona), era cresciuto parlando italiano.
Il
quartiere dove abitava mia nonna Marga da ragazza era quello in cui
si parlava un cremonese che, come avrebbe detto suo padre, il mio
bisnonno Nino, appassionato pescatore, era il vero
cremonese. Quella lingua urlata
tra le botteghe del mercato, tra i tavoli dell'osteria in cui si
beveva il clinto (vino
tipico, ormai scomparso) in scodelle di ceramica, quella lingua che
senza difficoltà era compresa e parlata dalla vecchina per chiedere
una ricetta medica al dottore e che si estendeva dal Po al Torrazzo,
per frammentarsi in miriadi di inflessioni differenti ma sostanziali,
talvolta anche da quartiere a quartiere.
Cremona non è cambiata poi molto oggi, qualche costruzione più
recente svetta dall'orizzonte ma il nostro Torrazzo è ancora il più
alto e quel sogno che il nonno coltivava, di riunire tutte queste
sfumature dialettali in una grande cascina in cui tutti i Natali la
famiglia si sarebbe ritrovata, come se si stesse preparando a una
vacanza montana, purtroppo non si è mai realizzata.
I
miei nonni hanno abitato in città da quando si sono conosciuti, e in
particolare nel quartiere di Porta Venezia, del quale il nonno è
stato anche presidente dalla metà degli anno '80 all'inizio degli
anni '90,
ed è sempre stato un grande appassionato di dialetto, soprattutto di
poesia, infatti in quegli anni era una tradizione riunire le poesie
di ogni quartiere e farne una pubblicazione. Oggi queste raccolte
vengono pubblicate sul nostro quotidiano, che raggiunge facilmente
non solo la provincia ma anche molte zone di vacanza particolarmente
amate dalla popolazione cittadina: troviamo La Provincia (questo è
il nome della testata) a Massa-Carrara, a Bormio, nella Val Camonica
e in Trentino, meta anche delle nostre vacanze.
Ma
la storia della mia famiglia è stata molto più avventurosa e credo
che il nonno desiderasse poterla riunire tutta anche per questo
profondo motivo: i Bruneri, o forse farei meglio a chiamarli Brunner
(di cui conosciamo anche il significato etimologico: moneta
scura), non sono originari di
Casalbuttano ma del Tirolo, terra per me quasi mitica e che
rappresenta il vero ritorno alle origini. La famiglia Brunner
lavorava per gli Asburgo con il poco onorevole compito di gabellieri
imperiali e all'inizio dell'800, a causa di una rivolta, si è
ritrovata poco distante da Cremona, fuggita per sempre dalla terra
degli avi, come la chiama mio
padre. Senza più un lavoro o una patria, i Brunner si sono impegnati
e assieme alle altre poche famiglie della zona hanno potuto fregiarsi
di essere annoverati tra i fondatori del paese di Casalbuttano, dove
al tempo una cascina c'era veramente. Da gabellieri a salumieri, da
Brunner a Bruneri, una vicenda che in fin dei conti ha afflati anche
piuttosto attuali.
Siamo venuti a conoscenza di questa avvincente storia solo
recentemente, quando uno storico cremonese ha pensato di pubblicare
alcune ricerche genealogiche che illustrassero la nascita e gli
abitanti del paese. E' bastato però perché l'ultima generazione
Bruneri (io e il mio unico cugino diretto, Federico) potesse crescere
con questa consapevolezza: io ero solo una bambina quando uscì la
pubblicazione. Così il mio sogno, a differenza di quello del nonno,
si è trasformato: sarebbe splendido poter spostare la mitica cascina
Bruneri nella terra degli avi e colmare finalmente quell'esigenza di
patria che, per me l'Italia non ha mai rappresentato, anche se
riconosco Cremona come la mia casa e non solo come un punto segnato
su di una carta geografica.