sabato 15 settembre 2012

Baby-femministe, techno-provocatrici: le rivoluzionarie che si lasciano cliccare

di Camilla Bruneri


Questa volta la notizia viene dal primo numero del settimanale “F”, uscito in giugno. Ad aver colpito la mia attenzione è una cyber rivolta rosa partita da giovanissime utenti del web che, attraverso YouTube, blog privati e testate online (è proprio il caso di dirlo: e sarebbero questi i bei risultati dell'insegnamento dell'informatica nelle scuole?!), hanno cercato di sensibilizzare il mondo su tematiche economiche, alimentari e femministe.
Una domanda mi sorge spontanea: al di là della mia approvazione circa i contenuti delle iniziative di queste ragazzine, è giusto e condivisibile che minorenni appaiano come madrine cibernetiche politicamente corrette? Forse sì. Saranno però solo trovate pubblicitarie?
La prima protagonista di queste storie è la dodicenne Victoria Grant, che sul palco dell'incontro organizzato dal Public Banking Institute, a Philadelphia, ha criticato la scelleratezza dei banchieri canadesi. Il suo intervento di sette minuti ha sconvolto YouTube: il video ha superato infatti i 200mila clik, diventando una star sui siti Forbes e Financial Post. La bambina ha infatti lanciato accuse al governo e al sistema bancario del Canada, sostenendo che basterebbe eliminare le banche private, consentendo i prestiti di denaro solo da parte di aziende di credito controllate dal Governo: in pratica una nazionalizzazione del sistema bancario.
Oltre alla verve ammirevole, mi soffermerò successivamente circa i pensieri della Grant, con i quali non posso certo trovarmi d'accordo (possibile che il socialismo venga insegnato nelle scuole elementari?!), ciò che mi ha colpita maggiormente è la sconvolgente risolutezza di questa ragazzina.

mercoledì 12 settembre 2012

Dalla Russia di Putin, la rivoluzione trendy

di Camilla Bruneri


Ho recentemente parlato del controverso mondo del femminismo "al femminile" nel mio articolo "Cinquanta sfumature di noi donne: cosa c'è oltre il femminismo", e abituandomi a sfogliare le riviste femminili, nella speranza di documentare ulteriormente il fenomeno, ho scoperto che la Russia delle Pussy Riot sta collezionando un vasto laboratorio di resistenza politica supportato soprattutto dalle donne. E dagli artisti.
Dal cinema alla musica, dalle mostre alla moda, il tormentone è ovunque. Le performance isolate, come quelle del gruppo Voina (Guerra), artisti-attivisti sociali al limite del teppismo, o le «monstratzie» di Artem Loskutov a Novosibirsk regolarmente sanzionate dalla polizia, diventano cortei e flash-mob, permettendo così alla protesta di entrare nel mainstream culturale.
Ma anche la moda si fa influenzare dalla «rivoluzione hipster»: a fissare la svolta, dopo il kitsch degli Anni 90 e il «glamour» del 2000, è il blog «Moda sulle barricate» (www. fashionprotest.ru), un’idea dello stilista Aleksandr Arutiunov: «Non ci sono più dubbi, salire sulle barricate è una nuova tendenza. Questo blog parla di persone che la rendono elegante e dignitosa. Personaggi, regole di stile, e tutto ciò che può esservi in comune fra rivoluzione e moda - o il contrario, decidete voi».

sabato 8 settembre 2012

"E non sono mai andato a scuola": racconto di una serata in compagnia di Andrè Stern


Di Camilla Bruneri


Bonne soir, je suis Camilla, je suis en fille de 24 ans, je n'aime pas les bonbons et malheureusement je suis allé à l'ècole. (Buona sera, mi chiamo Camilla, sono una ragazza di 24 anni, non mi piacciono le caramelle e purtroppo sono andata a scuola.) Ho studiato per tutta la vita, cercando disperatamente di essere coerente nelle mie scelte, cercando di non perdere tempo e non lasciarmi scappare nessuna occasione (anche quelle che sarei stata più felice di lasciarmi scappare), ho diffidato ma ho accettato tante cose solo per poterle inserire nel curriculum (forse uno degli esami più difficili che la scuola non ti prepara ad affrontare) e ora che sono alla fine, ora che la vita comincia a richiedere i sacrifici più grandi (come se non ce ne fossero già stati abbastanza), ora cerco altrettanto disperatamente di disimparare.
Vorrei raccontarvi in proposito una storia, una storia che viene dalla Francia, una storia che parla anche di noi!
Andrè non cerca di convincere nessuno, né di convertirlo, non vende nulla e non racconta la storia di un metodo.
Ciò che ha vissuto vale solo per lui, che non ambisce a divenire un modello: un ragazzo come tutti gli altri, semplicemente
con un percorso diverso, il cui corso naturale non è stato disturbato. Non suggerisce nulla in proposito,
soprattutto perché non si tratta di un'abitudine molto diffusa, bensì raccoglie un vasto numero di pregiudizi a questo riguardo.
Il pregiudizio principale è quello che senza scuola non possa esistere educazione, capacità di ottenere dei risultati o
che si rimarrà analfabeti e asociali. Niente diploma ovvero niente lavoro, ma non è così. Non siamo liberi di fare scelte
personali perchè non abbiamo modo di poterci confrontare con altre alternative. Se si pensa che la scuola rappresenti l'unica risposta, ci troviamo davanti allo stesso numero di scelte lasciate da Ford quando diceva "Potete scegliere il modello d'auto che preferite purché il colore sia il nero!"
Questo è il racconto che Andrè Stern ci ha fatto durante una splendida conferenza, tenuta a Bergamo lo scorso marzo, riportato anche nelle testimonianze raccolte nel suo libro autobiografico "Et je ne suis jamais allé à l'ècole", edito dalla casa editrice francese Actes Sud. Probabile una prossima edizione italiana.
 Ho preso in prestito le sue stesse parole nell'apertura di questo pezzo, con una differenza: Andrè non è mai andato a scuola! 



Queste sono alcune domande poste ad Andrè durante la serata, spero potranno dare a molti genitori volenterosi un motivo in più per sperare in un mondo migliore.

martedì 4 settembre 2012

Alternative educative: uno sguardo all’homeschooling


Di Camilla Bruneri

Vale la pena anche analizzare un altro interessante fenomeno: l’homeschooling.
“La scuola è come una prigione. Questa frase è un eccesso? E' un'analogia? Vi dico la mia. Perché la maggior parte dei bambini non ama andare a scuola? E' ovvio: i bambini desiderano essere liberi e la scuola li priva di questo diritto fondamentale.
Tutti desideriamo essere liberi, possiamo dirlo ad alta voce, possiamo pensarlo e basta, ma è palese che, per gli esseri umani uno dei bisogni primari sia la libertà. Purtroppo per una grande porzione della popolazione italiana la scuola è un obbligo per legge: i genitori credono di non avere alternative, difficile è trovare scuole veramente libere o decidere di fare educazione parentale.
La situazione nelle scuole sta  peggiorando di anno in anno: le classi sono sempre più numerose, gli insegnanti non offrono una continuità di relazione, i momenti di svago sono tenuti al minimo, le gite cancellate per mancanza di denaro, gli atti di bullismo sono in aumento così come i casi di disturbo da deficit d'attenzione ed iperattività, dislessia e quant'altro. Vi siete chiesti come mai? I bambini a scuola non sono liberi, come credete che possano apprendere in un ambiente coercitivo?
La scuola è un ambiente anormale e artificiale. I bambini sono malleabili e sanno solitamente adattarsi, ma togliere loro la libertà li rende infelici, inattivi, incapaci di gestirsi autonomamente. Alcuni di essi si conformano, ma molti devono sopprimere il loro essere per riuscire a sopportare la routine quotidiana. Questa precoce forma si stress provoca delle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, ma che spesso scegliamo di ignorare o minimizzare. Per la società odierna tutti devono essere scolari e coloro che non si uniformano, bambini o adolescenti che siano, sono etichettati come problematici, incapaci, perdenti e addirittura in alcuni casi essi vengono sottoposti a medicamenti per calmierare la ribellione che deriva da questo infelice stato. Non esistono alternative alla scuola che siano socialmente plausibili.

Alternative educative: una storia Svizzera


Di Camilla Bruneri

Un parto difficile e un bambino che, con il tempo manifesta difficoltà nella parola e nel movimento. Questa è la storia di Elia, pubblicata su Vanity Fair della scorsa settimana. Il racconto a lieto fine di due genitori che hanno un bambino affetto da disprassia, una sindrome poco conosciuta in Italia. Si tratta di un disturbo della pianificazione dell'atto motorio che causa un deficit nel percorso di apprendimento e verbalizzazione. Chi ne soffre, pur essendo dotato di normale intelligenza, fatica a parlare, a usare un linguaggio adeguato al contesto, a mettere insieme gli elementi della realtà, e così diventa complicato anche correre, andare in bici, diventare autosufficienti.
Il protagonista di questa storia è Elia, un bambino che ora ha 5 anni e mezzo e che soffre di questo disturbo. I genitori, Natalia e Alessio Pizzicannella, raccontano a Vanity, di essersi trasferiti in Svizzera, a Locarno perché avevano capito che in Italia, il piccolo non sarebbe stato seguito seriamente dalle strutture pubbliche. Da settembre Elia andrà all'asilo, all'Istituto Sant'Eugenio, dove vengono seguiti anche bambini con disturbi del linguaggio e dell'apprendimento. Natalia e Alessio raccontano la sensazione di stupore provata per l'accoglienza ricevuta e l'aiuto e la disponibilità manifestati dall'Istituto e dal Supporto Pedagogico della città. Non solo: oltre alle cure (per via privata) ricevute in Italia, l’istituto svizzero ha anche consigliato alla famiglia di rivolgersi ad un osteopata craniale che, con due sole manipolazioni delle ossa craniche, ha permesso al bimbo di ricominciare a muoversi normalmente. Ora Elia sfreccia in bicicletta senza rotelle.

lunedì 3 settembre 2012

Il paradosso dei carburanti


di Tommaso Cabrini

Oggi sono finiti gli sconti carburante proposti dall’ENI, prontamente imitati da diversi concorrenti. Il risultato è stato immediato: i media si sono lanciati a parlare del caro carburanti.
Partiamo sfatando un falso mito, la colpa del prezzo dei carburanti non è di petrolieri avidi, che hanno proposto per tutta estate i loro prodotti sottocosto, o dei benzinai (anche se un po’ di concorrenza in più non fa mai male). Non possiamo neanche dare la colpa ai perfidi produttori, non ci sono squilibri gravi tra domanda e offerta che stritolino i prezzi.
Basta entrare un pochino nel problema e subito si individuano i colpevoli: lo Stato e ancora lo Stato, colpevole al quadrato!
Partiamo dalla materia prima, il barile di petrolio (in questo momento sopra i 114$/barile) è stato un crescendo continuo nell’ultimo decennio, con qualche parziale diminuzione nei momenti peggiori della crisi velocemente recuperati. E’ forse finito il petrolio? Assolutamente no, stiamo solamente vedendo gli effetti della politica inflazionista perseguita da FED e BCE, a fronte di una spropositata immissione di denaro in circolazione tutti i mercati sono saliti: azioni, bond (cioè calano i rendimenti) e materie prime.

Cinquanta sfumature di noi: cosa c'è oltre il femminismo


Di Camilla Bruneri

Cosa troviamo oltre il tacco dodici, il filo di fard e gli occhialini da intellettuale, che molte donne sfoggiano come un’uniforme? Le instancabili camminatrici del traffico, perennemente in bilico tra una crisi di nervi, le lezioni di piano del figlio e la riunione del CdA per cui lavorano?! La risposta, di una semplicità quasi disarmante, è no. Questo no non è un rigurgito femminista di un’esponente della categoria, né un tentativo di risollevare un tormentone estivo che ha, per lo meno, dimostrato di essere un sicuro investimento editoriale. Le parole della donna che sta dietro questo pezzo vengono da una riflessione quotidiana sul senso della presenza della donna nella società, che vuole essere privo di giovanilismi e falsi miti.
Proprio da questo argomento vorrei cominciare: il mito.  Sin dall’antichità alla donna è stata data una parte chiave nel misterioso teatro famigliare, che l’ha accompagnata nelle epoche dandole la riconosciuta importanza che anche oggi le viene attribuita. Con un problema di fondo però, rappresentato dalla frustrante corsa alla parità che altrettanto ha accompagnato le donne in tutte le vicende sociali che le hanno viste protagoniste.  Due miti ricorrono in questo caso: la donna focolare e colonna portante della famiglia contro il modello della suffragetta.
La donna ha voluto che il proprio ruolo di sottomessa/dipendente (del padre prima, del marito poi, in certi casi anche del datore di lavoro) raggiungesse lo status di indipendenza che nessuno, in un paese come il nostro, oggi le negherebbe. Le donne fanno parte dei consigli di amministrazione, sono imprenditrici, fanno politica e spesso sono tra le più impegnate, eleggendosi madrine di cause umanitarie in modo ammirevole. Ma il problema dell’emancipazione intellettuale delle donne rimane come uno spettro ad insidiare le vite di molte di noi, che il tracollo nervoso lo rischiano a causa dell’insensata competizione che vivono nel confronto con gli uomini.
Vorremmo rivaleggiare su di un terreno che non sentiamo nemmeno nostro, contro mentalità che hanno la sola colpa di non essere “femminili”, accampando scuse come le quote rosa che, se non dilapidano il ragguardevole lavoro delle mitologiche suffragette, quantomeno lo offendono. In quale modo? Pretendendo di considerare le donne una categoria “a rischio”, che merita di autorappresentarsi nei luoghi di potere o di burocrazia. Quest’ultimo invero è un falso mito.

domenica 2 settembre 2012

Quando il capitalismo si fa piccolo: crowdfunding



di Tommaso Cabrini

Un tempo il capitalismo era un affare per ricchi, fondare un’azienda ha sempre richiesto grandi capitali e l’innovazione finanziaria ha cercato di andare incontro agli imprenditori cercando metodi più facili di trovare denaro. Tornando indietro di qualche secolo l’imprenditore poteva contare solamente su quanto investito dalla propria famiglia o sul prestito di qualche grande banchiere.
Progressivamente si è allargato sempre più il mercato dei capitali, dando la possibilità a un maggior numero di persone di partecipare, prestando denaro o investendolo direttamente nelle aziende. Ciò è avvenuto attraverso una grande intuizione: anziché chiedere un grande finanziamento si chiede a tanti finanziatori una cifra più piccola facendo nascere così le azioni e le obbligazioni.
Se con la riforma pensionistica tutti i cileni sono diventati capitalisti, e quindi interessati al prosperare della propria economia e alla pace sociale, così è avvenuto con la diffusione nel nord America e in nord Europa della proprietà di azioni e obbligazioni emesse dalle aziende[1].
Oggi per possedere un’azione bastano pochi euro, ma parecchi costi aggiuntivi, come le commissioni e il bollo sul conto titoli rendono necessario comprare pacchetti nell’ordine di almeno un paio di migliaia di euro per rendere l’investimento potenzialmente profittevole. In fondo non tutti sono disposti a concentrare una tale cifra in un unico investimento.
Ma nel frattempo è stato fatto un ulteriore passo in avanti: internet, che permette la distribuzione di servizi ad un prezzo ridottissimo. Ecco dunque la possibilità di ridurre ulteriormente la dimensione dei pacchetti, fino ad arrivare a pochi spiccioli: il crowdfunding.
Crowdfunding (composto dalla parola crowd, folla e funding finanziamento) consiste nel raccogliere fondi destinati a specifici progetti da moltissime persone che partecipano per piccole cifre (solitamente meno di un centinaio di euro).

La nuova frontiera libertaria: il mare



di Tommaso Cabrini

Il Seasteading

Seasteading è una parola composta, che nasce dalla somma di sea + homesteading.
Il seasteading consiste nella costruzione di comunità autosufficienti in acque internazionali, in modo da poterne garantire la libertà dalle leggi nazionali.
Di fatto l’intento può essere realizzato adattando vecchie navi da crociera, ex piattaforme petrolifere, piattaforme antiaeree in disuso ma anche mezzi costruiti ad hoc o vere e proprie isole artificiali.
Esempi storici di seasteading sono il Principato di Sealand (tutt’ora esistente ed in vendita), la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose (distrutta dallo Stato italiano) o la Repubblica di Minerva (costruita nel pacifico e conquistata militarmente da Tonga).

Il Seasteading Institute

Il Seasteading Institute è l’istituto fondato, tra gli altri, da Patri Friedman (nipote del premio Nobel Milton) nel 2008.
L’istituto intende aiutare la diffusione del seasteading attraverso diversi campi d’azione:
  • ricerca in campo legale: identificare quali leggi e accordi internazionali permettono la libertà del seasteading (come ad esempio il miglior utilizzo della la bandiera di comodo) e quali regole istituire nei seastead;
  • innovazione di business: individuare quali business si possono creare nei seastead e quali possono svilupparsi in modo maggiormente efficace ed efficiente;
  • innovazione ingegneristica: scoprire le tecnologie che permettano la costruzione di seastead a prezzi accessibili ma sicuri e con un alto livello di qualità della vita, concentrandosi anche sulla modularità dei seastead per facilitarne in futuro l’espansione;
  • incentivazione del seasteading: l’istituto intende presentare entro il 2015 il “Poseidon Award”, un premio che sarà dato al primo seastead con almeno 50 abitanti permanenti, finanziariamente autosufficiente, con abitazioni scambiate sul libero mercato e politicamente autonomo.

L’istituto ha attratto anche l’attenzione del cofondatore di PayPal Peter Thiel, che ha deciso di erogare un finanziamento di 500.000$.

Finché le tasse non ci separino: lo Stato e il matrimonio



Di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

“I giovani non considerano più il matrimonio come la migliore delle relazioni: il matrimonio non è più visto come il miglior modo di relazionarsi dalle giovani generazioni. Questo è ciò che è emerso da un vasto sondaggio fatto in Gran Bretagna: le coppie che si sposano diminuiscono di anno in anno, mentre cresce il numero di chi sceglie di vivere insieme, senza sposarsi.” Queste le parole con le quali il Daily Telegraph apre l’articolo dedicato non tanto al matrimonio come fenomeno sociale, quanto ad un puro fatto di carattere morale: ad essere attaccato in questo caso non è la tendenza ad affidarsi alla ribellione alle istituzioni (quando mai!), quanto l’”egoismo globale” che porta inesorabilmente alla distruzione dell’unità familiare da parte della popolazione globale, ormai dimentica delle tradizioni.
Eppure, se ci fermassimo ad analizzare la storia, ci renderemmo conto che il matrimonio come lo conosciamo noi oggi è solo una delle tante facoltà delle quali lo Stato si sia insignito, ma la tradizione, quella vera, del matrimonio ha radici ben diverse. Al giorno d’oggi siamo abituati a vedere il matrimonio come un’istituzione collegata ad un particolare rituale, che non può che svolgersi davanti a un’autorità ed infine valevole solo perché registrato dallo Stato.
Ma come funzionava prima che lo Stato si prendesse il compito di regolare, controllare, registrare e non da ultimo tassare il matrimonio? Indubbiamente c’era la Chiesa, ma è sempre stato immutato il sacramento del matrimonio? Da queste domande è nata una piccola ricerca sulla storia del matrimonio in Europa, ma in questo viaggio dovremo partire dalla fine.
Oggi il matrimonio non può che essere contratto tra tre parti: un uomo, una donna e lo Stato; quest’ultimo dispensa diritti e doveri (secondo leggi standard) ai primi due, tant’è che non si concepisce un matrimonio che non sia stato regolarmente approvato burocraticamente. L’ inconcepibilità di un matrimonio al di fuori dello Stato ha aperto una lunga lista di rimostranze da parte di tutti coloro i quali non rientrano nel matrimonio “classico” per fare in modo che anche la loro situazione venga riconosciuta: coppie omosessuali, poligami, matrimoni di gruppo eccetera.

Una lezione di libero mercato (e non solo): Cremona in Epoca Comunale



Di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini

Quanto conosciamo della realtà storica delle nostre città italiane? Molto, basterebbe aprire qualche libro di storia, fare più attenzione quando il museo propone qualche mostra di stampe antiche o quando la biblioteca acquisisce qualche nuovo volume, e saremmo tutti quanti più informati a riguardo. Viene dato molto spazio alle affascinanti storie che le nostre città hanno annoverato in età precomunale e comunale, ma poca memoria riserviamo loro per farne tesoro e imparare da un’epoca storica che erroneamente troppi considerano oscurantista e barbara.
Basti pensare all’emblematica frase medievale “Stadtluft macht frei”, l’aria della città rendere liberi, riferita alla legge secondo la quale un contadino fuggito dal suo feudatario poteva considerarsi libero (e quindi cittadino) dopo un anno e un giorno lontani dal proprio padrone. Ed è proprio partendo da questo presupposto di libertà che si fonda la storia comunale, che nel XII secolo in Italia si afferma con il suo massimo splendore, grazie soprattutto alle rivendicazioni indipendentiste e alle liberalizzazioni (nonché all’abbassamento e talvolta anche all’abolizione delle tasse) portate avanti dal potente ceto mercantile comunale. Anche una piccola realtà come Cremona, a quell’epoca, ha potuto annoverarsi (per un breve ma intenso periodo) come città indipendente, fondata sul commercio del sale, dei tessuti e delle carte da gioco (i trionfi, meglio conosciuti come tarocchi), nonché grazie ad una storia ormai quasi sommersa, come quella dell’accesso alla cultura.
Un utile archivio in cui trovare materiale a riguardo è il sito di Reti Medievali, nella sezione della didattica (http://fermi.univr.it/rm/didattica/fonti/bordone/indice.htm#sez2), dove abbiamo trovato questo interessantissimo pezzo dedicato all’organizzazione scolastica: nonostante la grande importanza rivestita dalle istituzioni ecclesiastiche cittadine, secolari e religiose, nell'organizzazione della scuola, occorre rilevare che caratteristica della città italiana fu la spontanea iniziativa degli studenti laici di raccogliersi attorno a un maestro e di riconoscerlo come capo della loro associazione.