Una serata passata al tavolo di un
pub, una birra, quattro chiacchiere con gli amici, atmosfera
rilassata (stranamente perché era Natale, ma sapete, con questa
crisi...!), un tovagliolino sul quale mai ci saremmo immaginati di
metterci a discutere formule matematiche e libertà. Ebbene: è
successo!
Attorniati dal baccano del locale, io e
Tom parlavamo del più e del meno mentre il barista dimenticava la
penna sul nostro tavolo e io cominciavo compulsivamente a giocarci
per passare il tempo. Non contenta scarabbocchio qualcosa su un
tovagliolo e questo forse fa scattare qualcosa nella mente di Tom,
che fino a poco prima mi stava parlando della chiusura dell'iva di
novembre in ufficio. Così è nato l'articolo di seguito, che non
cambierà il panorama delle teorie economiche, ma certamente
apporterà il proprio contributo, in un tragico periodo storico
durante il quale nulla appare di poca importanza e ogni rimando al
passato si rivela essere incredibilmente attuale.
Lui stesso mi ha poi raccontato la
celebre teoria della curva di Laffer che, leggenda vuole, fosse stata
spiegata in un locale pubblico, con un tovagliolo e una biro.
Non abbiamo la pretesa, con questo
articolo, di svelare scoperte sensazionali, anzi: l'abbiamo scritto
proprio perché l'ovvietà giace sotto gli occhi di tutti tutti i
giorni e noi stiamo provando ad osservarla davvero, questa ovvietà.
La domanda così posta sembra fin
retorica, ma questa è la ragione che spinge a pensarci
ulteriormente.
Partiamo dalle premesse per chi non è
esperto di economia.
Il principale indicatore della
ricchezza di un territorio è il Prodotto Interno Lordo (PIL)1.
Il PIL italiano del 2010 è stato pari
a 2.055 miliardi di $2,
scritto per esteso: 2.055.000.000.000 $.
Ma cos’è il PIL?
Il PIL per l’economia keynesiana è
rappresentato dalla seguente formula:
Y = C + I + G + ( X – M )
Dove Y è il PIL, C sono i consumi
effettuati, I gli investimenti, G è la spesa pubblica, X sono le
esportazioni e M le importazioni. X e M rappresentano la bilancia
commerciale del paese considerato e, nella nostra analisi non li
prenderemo in considerazione (dopotutto se il modello si applica al
mondo intero non vi saranno importazioni ed esportazioni).
Ma entriamo nel dettaglio delle varie
voci.
G: LA SPESA PUBBLICA
In Italia questa è indubbiamente la
voce più grande di tutte (circa il 50% del PIL).
Rappresenta tutte le spese fatte dalle
pubbliche amministrazioni: stipendi di dipendenti e funzionari,
costruzione di strade e ponti, pensioni, sanità…
A fronte di tutte queste spese lo Stato
dove trova i soldi? Sostanzialmente attraverso due mezzi: il primo
sono le tasse imposte sui redditi del settore privato3
(che nelle formule sarà T), il secondo mezzo di finanziamento è
l’indebitamento, cioè lo stato spende più di quanto incamera con
le tasse e quindi deve prendere in prestito la differenza (che
chiameremo D come deficit).
Pertanto la formula per la spesa
pubblica è:
G = T + D
I: GLI INVESTIMENTI
Gli investimenti sono la fetta più
piccola del PIL, rappresenta tutto ciò che viene speso per produrre
beni ad utilizzo ripetuto, ad esempio le spese per costruire una
fabbrica oppure la costruzione di una nuova casa. Pur non essendo la
quota più grande indubbiamente gli investimenti sono importanti,
poiché influenzano i redditi futuri.
Come si finanzia un investimento? Dove
si trovano i soldi per farlo? Molto semplicemente risparmiando o
prendendo i soldi a prestito da qualcun altro che li ha risparmiati,
quindi a livello aggregato gli investimenti sono interamente
finanziati dal risparmio4
(nelle formule S, dall’inglese savings).
Non tutto il risparmio però diventa
investimento, parte dei risparmi, infatti, verrà utilizzato per
comprare titoli pubblici quali BOT, CCT. In parole povere una parte
del risparmio verrà utilizzato per finanziare il deficit.
Ne consegue che la formula per gli
investimenti è:
I = S - D
C: I CONSUMI
A questa categoria appartengono tutte
le spese effettuate per beni e servizi il cui utilizzo non può
essere ripetuto, ad esempio se si acquista una bistecca questa sarà
un consumo, poiché può essere mangiata solo una volta. Come ci si
procura i soldi per consumare? Lavorando e prendendo uno stipendio5,
oppure incassando interessi e dividendi dai propri investimenti, in
parole povere tramite la retribuzione dei due fattori produttivi
fondamentali, lavoro e capitale (nelle formule sarà R).
Non tutto il reddito però viene
utilizzato per i consumi, una parte infatti (con le buone o le
cattive) va allo Stato sotto forma di tasse, imposte, contributi (T).
Se poi siamo abbastanza fortunati da
guadagnare a sufficienza, e senza essere tartassati, risparmieremo
una parte del nostro reddito (S)6.
Sintetizzando:
C = R – T – S
Arrivati a questo punto, dopo aver
dissezionato un po’ le variabili del PIL ci resta una cosa sola da
fare: aggiornare la formula iniziale (come già detto non
consideriamo X – M):
Y = C + I + G
con i dettagli visti fino ad adesso.
Ne risulta una formula un po’ più
lunga ma non così oscura:
Y = (R – T – S) + (S – D) + (T
+ D)
come dicevo non così oscura se
eliminiamo i fattori che si elidono a vicenda:
Y = R – T
– S
+ S
– D
+ T
+ D
Ohibò! Il
PIL è pari ai redditi del settore privato R.
Ma non era lo Stato il volano
dell’economia? Come può lo Stato produrre più crescita se tutto
dipende dal settore privato? Come può essere importante il ruolo del
governo nel condurci fuori dalla crisi, se la sua importanza è
tuttalpiù nulla7?
Ma soprattutto: a chi serve lo Stato?
1
Per l’esattezza il PIL misura il reddito prodotto all’interno
dei confini di un dato territorio. Ad oggi è l’indicatore
principale utilizzato per definire la ricchezza ed il benessere di
tale territorio. Molti sostengono che esso non sia davvero
rappresentativo del benessere, in quanto trascura molti aspetti non
numerari, tuttavia gli indici proposti per sostituirlo non sono
altrettanto oggettivi nella costruzione. Infine gli indici
sostitutivi prodotti sono tutti strettamente correlati al PIL, non
dando quindi significative nuove informazioni.
2
Fonte FMI, World Economic Outlook Database, edizione settembre 2011
3
Le tasse sul settore pubblico e sui redditi dei dipendenti pubblici
non sono altro che una partita di giro: lo Stato paga un dipendente
40.000€, gli impone 15.000€ di tasse (o contributi), di fatto la
spesa dello Stato è 25.000€.
4
Questo indipendentemente dalla strada che prendono i soldi: posso
anche metterli in banca, ma la banca con quei soldi concederà il
mutuo ad un’impresa per fare investimenti.
5
Si intendono solo gli stipendi erogati dal settore privato, poiché
gli stipendi erogati dal settore pubblico rientrano nella spesa
pubblica (G).
6
In effetti può darsi che alcuni consumi vengano finanziati con
denaro preso a prestito da risparmi altrui, tuttavia a livello
aggregato questa è una partita di giro interna a C, pertanto S non
contempla i risparmi utilizzati per finanziare consumi altrui.
7
Può tranquillamente diventare dannosa, ma non ci sembra necessario
affrontare al momento l’argomento.
1 Per l’esattezza il PIL misura il reddito
prodotto all’interno dei confini di un dato territorio. Ad oggi è
l’indicatore principale utilizzato per definire la ricchezza ed il
benessere di tale territorio. Molti sostengono che esso non sia
davvero rappresentativo del benessere, in quanto trascura molti
aspetti non numerari, tuttavia gli indici proposti per sostituirlo
non sono altrettanto oggettivi nella costruzione. Infine gli indici
sostitutivi prodotti sono tutti strettamente correlati al PIL, non
dando quindi significative nuove informazioni.
2 Fonte FMI, World Economic Outlook Database,
edizione settembre 2011
3 Le tasse sul settore pubblico e sui redditi
dei dipendenti pubblici non sono altro che una partita di giro: lo
Stato paga un dipendente 40.000€, gli impone 15.000€ di tasse (o
contributi), di fatto la spesa dello Stato è 25.000€.
4 Questo indipendentemente dalla strada che
prendono i soldi: posso anche metterli in banca, ma la banca con quei
soldi concederà il mutuo ad un’impresa per fare investimenti.
5 Si intendono solo gli stipendi erogati dal
settore privato, poiché gli stipendi erogati dal settore pubblico
rientrano nella spesa pubblica (G).
6 In effetti può darsi che alcuni consumi
vengano finanziati con denaro preso a prestito da risparmi altrui,
tuttavia a livello aggregato questa è una partita di giro interna a
C, pertanto S non contempla i risparmi utilizzati per finanziare
consumi altrui.
7 Può tranquillamente diventare dannosa, ma non
ci sembra necessario affrontare al momento l’argomento.
Un sincero grazie a Tommaso Cabrini per la sua indispensabile collaborazione, sperando in altri mille e più articoli come questo!
Articolo apparso sul sito del Movimento Libertario il 17 maggio 2012
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