martedì 22 maggio 2012

Tra Pil, consumi e spesa pubblica: ma a che serve lo Stato?


Una serata passata al tavolo di un pub, una birra, quattro chiacchiere con gli amici, atmosfera rilassata (stranamente perché era Natale, ma sapete, con questa crisi...!), un tovagliolino sul quale mai ci saremmo immaginati di metterci a discutere formule matematiche e libertà. Ebbene: è successo!
Attorniati dal baccano del locale, io e Tom parlavamo del più e del meno mentre il barista dimenticava la penna sul nostro tavolo e io cominciavo compulsivamente a giocarci per passare il tempo. Non contenta scarabbocchio qualcosa su un tovagliolo e questo forse fa scattare qualcosa nella mente di Tom, che fino a poco prima mi stava parlando della chiusura dell'iva di novembre in ufficio. Così è nato l'articolo di seguito, che non cambierà il panorama delle teorie economiche, ma certamente apporterà il proprio contributo, in un tragico periodo storico durante il quale nulla appare di poca importanza e ogni rimando al passato si rivela essere incredibilmente attuale.
Lui stesso mi ha poi raccontato la celebre teoria della curva di Laffer che, leggenda vuole, fosse stata spiegata in un locale pubblico, con un tovagliolo e una biro.
Non abbiamo la pretesa, con questo articolo, di svelare scoperte sensazionali, anzi: l'abbiamo scritto proprio perché l'ovvietà giace sotto gli occhi di tutti tutti i giorni e noi stiamo provando ad osservarla davvero, questa ovvietà.
Ci siamo domandati: ma ai keynesiano serve davvero lo Stato?
La domanda così posta sembra fin retorica, ma questa è la ragione che spinge a pensarci ulteriormente.
Partiamo dalle premesse per chi non è esperto di economia.
Il principale indicatore della ricchezza di un territorio è il Prodotto Interno Lordo (PIL)1.
Il PIL italiano del 2010 è stato pari a 2.055 miliardi di $2, scritto per esteso: 2.055.000.000.000 $.
Ma cos’è il PIL?
Il PIL per l’economia keynesiana è rappresentato dalla seguente formula:
Y = C + I + G + ( X – M )
Dove Y è il PIL, C sono i consumi effettuati, I gli investimenti, G è la spesa pubblica, X sono le esportazioni e M le importazioni. X e M rappresentano la bilancia commerciale del paese considerato e, nella nostra analisi non li prenderemo in considerazione (dopotutto se il modello si applica al mondo intero non vi saranno importazioni ed esportazioni).
Ma entriamo nel dettaglio delle varie voci.

G: LA SPESA PUBBLICA
In Italia questa è indubbiamente la voce più grande di tutte (circa il 50% del PIL).
Rappresenta tutte le spese fatte dalle pubbliche amministrazioni: stipendi di dipendenti e funzionari, costruzione di strade e ponti, pensioni, sanità…
A fronte di tutte queste spese lo Stato dove trova i soldi? Sostanzialmente attraverso due mezzi: il primo sono le tasse imposte sui redditi del settore privato3 (che nelle formule sarà T), il secondo mezzo di finanziamento è l’indebitamento, cioè lo stato spende più di quanto incamera con le tasse e quindi deve prendere in prestito la differenza (che chiameremo D come deficit).
Pertanto la formula per la spesa pubblica è:
G = T + D

I: GLI INVESTIMENTI
Gli investimenti sono la fetta più piccola del PIL, rappresenta tutto ciò che viene speso per produrre beni ad utilizzo ripetuto, ad esempio le spese per costruire una fabbrica oppure la costruzione di una nuova casa. Pur non essendo la quota più grande indubbiamente gli investimenti sono importanti, poiché influenzano i redditi futuri.
Come si finanzia un investimento? Dove si trovano i soldi per farlo? Molto semplicemente risparmiando o prendendo i soldi a prestito da qualcun altro che li ha risparmiati, quindi a livello aggregato gli investimenti sono interamente finanziati dal risparmio4 (nelle formule S, dall’inglese savings).
Non tutto il risparmio però diventa investimento, parte dei risparmi, infatti, verrà utilizzato per comprare titoli pubblici quali BOT, CCT. In parole povere una parte del risparmio verrà utilizzato per finanziare il deficit.
Ne consegue che la formula per gli investimenti è:
I = S - D

C: I CONSUMI
A questa categoria appartengono tutte le spese effettuate per beni e servizi il cui utilizzo non può essere ripetuto, ad esempio se si acquista una bistecca questa sarà un consumo, poiché può essere mangiata solo una volta. Come ci si procura i soldi per consumare? Lavorando e prendendo uno stipendio5, oppure incassando interessi e dividendi dai propri investimenti, in parole povere tramite la retribuzione dei due fattori produttivi fondamentali, lavoro e capitale (nelle formule sarà R).
Non tutto il reddito però viene utilizzato per i consumi, una parte infatti (con le buone o le cattive) va allo Stato sotto forma di tasse, imposte, contributi (T).
Se poi siamo abbastanza fortunati da guadagnare a sufficienza, e senza essere tartassati, risparmieremo una parte del nostro reddito (S)6.
Sintetizzando:
C = R – T – S

Arrivati a questo punto, dopo aver dissezionato un po’ le variabili del PIL ci resta una cosa sola da fare: aggiornare la formula iniziale (come già detto non consideriamo X – M):
Y = C + I + G
con i dettagli visti fino ad adesso.
Ne risulta una formula un po’ più lunga ma non così oscura:
Y = (R – T – S) + (S – D) + (T + D)
come dicevo non così oscura se eliminiamo i fattori che si elidono a vicenda:
Y = R – TS + SD + T + D

Ohibò! Il PIL è pari ai redditi del settore privato R.
Ma non era lo Stato il volano dell’economia? Come può lo Stato produrre più crescita se tutto dipende dal settore privato? Come può essere importante il ruolo del governo nel condurci fuori dalla crisi, se la sua importanza è tuttalpiù nulla7?

Ma soprattutto: a chi serve lo Stato?
1 Per l’esattezza il PIL misura il reddito prodotto all’interno dei confini di un dato territorio. Ad oggi è l’indicatore principale utilizzato per definire la ricchezza ed il benessere di tale territorio. Molti sostengono che esso non sia davvero rappresentativo del benessere, in quanto trascura molti aspetti non numerari, tuttavia gli indici proposti per sostituirlo non sono altrettanto oggettivi nella costruzione. Infine gli indici sostitutivi prodotti sono tutti strettamente correlati al PIL, non dando quindi significative nuove informazioni.
2 Fonte FMI, World Economic Outlook Database, edizione settembre 2011
3 Le tasse sul settore pubblico e sui redditi dei dipendenti pubblici non sono altro che una partita di giro: lo Stato paga un dipendente 40.000€, gli impone 15.000€ di tasse (o contributi), di fatto la spesa dello Stato è 25.000€.
4 Questo indipendentemente dalla strada che prendono i soldi: posso anche metterli in banca, ma la banca con quei soldi concederà il mutuo ad un’impresa per fare investimenti.
5 Si intendono solo gli stipendi erogati dal settore privato, poiché gli stipendi erogati dal settore pubblico rientrano nella spesa pubblica (G).
6 In effetti può darsi che alcuni consumi vengano finanziati con denaro preso a prestito da risparmi altrui, tuttavia a livello aggregato questa è una partita di giro interna a C, pertanto S non contempla i risparmi utilizzati per finanziare consumi altrui.
7 Può tranquillamente diventare dannosa, ma non ci sembra necessario affrontare al momento l’argomento.




1 Per l’esattezza il PIL misura il reddito prodotto all’interno dei confini di un dato territorio. Ad oggi è l’indicatore principale utilizzato per definire la ricchezza ed il benessere di tale territorio. Molti sostengono che esso non sia davvero rappresentativo del benessere, in quanto trascura molti aspetti non numerari, tuttavia gli indici proposti per sostituirlo non sono altrettanto oggettivi nella costruzione. Infine gli indici sostitutivi prodotti sono tutti strettamente correlati al PIL, non dando quindi significative nuove informazioni.

2 Fonte FMI, World Economic Outlook Database, edizione settembre 2011

3 Le tasse sul settore pubblico e sui redditi dei dipendenti pubblici non sono altro che una partita di giro: lo Stato paga un dipendente 40.000€, gli impone 15.000€ di tasse (o contributi), di fatto la spesa dello Stato è 25.000€.

4 Questo indipendentemente dalla strada che prendono i soldi: posso anche metterli in banca, ma la banca con quei soldi concederà il mutuo ad un’impresa per fare investimenti.

5 Si intendono solo gli stipendi erogati dal settore privato, poiché gli stipendi erogati dal settore pubblico rientrano nella spesa pubblica (G).

6 In effetti può darsi che alcuni consumi vengano finanziati con denaro preso a prestito da risparmi altrui, tuttavia a livello aggregato questa è una partita di giro interna a C, pertanto S non contempla i risparmi utilizzati per finanziare consumi altrui.

7 Può tranquillamente diventare dannosa, ma non ci sembra necessario affrontare al momento l’argomento.
  


Un sincero grazie a Tommaso Cabrini per la sua indispensabile collaborazione, sperando in altri mille e più articoli come questo!

Articolo apparso sul sito del Movimento Libertario il 17 maggio 2012

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