Di Camilla Bruneri e Tommaso Cabrini
“I giovani non considerano più il matrimonio come la
migliore delle relazioni: il matrimonio non è più visto come il miglior modo di
relazionarsi dalle giovani generazioni. Questo è ciò che è emerso da un vasto
sondaggio fatto in Gran Bretagna: le coppie che si sposano diminuiscono di anno
in anno, mentre cresce il numero di chi sceglie di vivere insieme, senza
sposarsi.” Queste le parole con le quali il Daily Telegraph apre l’articolo
dedicato non tanto al matrimonio come fenomeno sociale, quanto ad un puro fatto
di carattere morale: ad essere attaccato in questo caso non è la tendenza ad
affidarsi alla ribellione alle istituzioni (quando mai!), quanto l’”egoismo
globale” che porta inesorabilmente alla distruzione dell’unità familiare da
parte della popolazione globale, ormai dimentica delle tradizioni.
Eppure, se ci fermassimo ad analizzare la storia, ci
renderemmo conto che il matrimonio come lo conosciamo noi oggi è solo una delle
tante facoltà delle quali lo Stato si sia insignito, ma la tradizione, quella
vera, del matrimonio ha radici ben diverse. Al giorno d’oggi siamo abituati a
vedere il matrimonio come un’istituzione collegata ad un particolare rituale,
che non può che svolgersi davanti a un’autorità ed infine valevole solo perché
registrato dallo Stato.
Ma come funzionava prima che lo Stato si prendesse il
compito di regolare, controllare, registrare e non da ultimo tassare il
matrimonio? Indubbiamente c’era la Chiesa, ma è sempre stato immutato il
sacramento del matrimonio? Da queste domande è nata una piccola ricerca sulla
storia del matrimonio in Europa, ma in questo viaggio dovremo partire dalla
fine.
Oggi il matrimonio non può che essere contratto tra tre
parti: un uomo, una donna e lo Stato; quest’ultimo dispensa diritti e doveri
(secondo leggi standard) ai primi due, tant’è che non si concepisce un
matrimonio che non sia stato regolarmente approvato burocraticamente. L’
inconcepibilità di un matrimonio al di fuori dello Stato ha aperto una lunga
lista di rimostranze da parte di tutti coloro i quali non rientrano nel
matrimonio “classico” per fare in modo che anche la loro situazione venga
riconosciuta: coppie omosessuali, poligami, matrimoni di gruppo eccetera.
L’istituzione del matrimonio civile nasce solamente nel
1875, con l’introduzione da parte del cancelliere tedesco Otto von Bismarck del
Zivilehe con lo scopo di
accrescere la separazione Stato-Chiesa (anche se la pratica di registrare il
matrimonio da parte dello Stato ha radici molto più antiche: nacque infatti con
la riforma protestante, nel XVI secolo).
Ma anche la
dottrina del matrimonio secondo la
Chiesa ha un’origine ben precisa: il sacramento come lo
conosciamo noi oggi ebbe origine con il concilio Lateranense IV del 1215 e
rafforzato con il concilio di Trento nel XVI secolo. Prima di allora il
matrimonio si svolgeva in modo molto diverso: innanzitutto il matrimonio era un
contratto a volte scritto, altre orale, da cui nacque l’esigenza di avere dei
testimoni, davanti ai quali avveniva lo scambio delle promesse di matrimonio.
Possiamo immaginare, ad esempio, un matrimonio di paese come una festa, con
banchetto in un luogo rappresentativo, come una grande quercia, dove gli sposi
si promettevano l’un l’altra e successivamente venivano presentati alla
comunità dal capo villaggio come marito e moglie. Il matrimonio formalmente era
monogamo tuttavia sono noti casi di poligamia, ad esempio le 5 mogli di Carlo
Magno.
Anche presso i
romani il matrimonio esisteva nel quasi totale disinteresse da parte dello
Stato (l’unica norma imperativa era la monogamia) tant’è che anche le modalità
di contrarre matrimonio erano diverse: una forma religiosa prevedeva che gli
sposi preparassero una torta di farro da offrire agli dei alla presenza del
sommo pontefice. Nel caso si trattasse del primo matrimonio di una giovane il
padre vendeva fittiziamente (ma probabilmente in tempi antichi lo scambio era
molto più concreto) la figlia al marito, emancipandola così dalla famiglia
d’origine. Infine esisteva anche il matrimonio “more uxorio”: se una coppia non
sposata conviveva ininterrottamente per un anno veniva considerata sposata.
Durante l’impero il
matrimonio cambiò e divenne sostanzialmente la cerimonia già descritta come
adottata nel medioevo. Il matrimonio romano era tutt’altro che indissolubile:
poteva essere sciolto in qualunque momento dal marito (in epoca
tardo-repubblicana o imperiale anche la semplice richiesta della moglie poteva
sciogliere il matrimonio) e le principali forme di ripudio consistevano nel
richiedere alla moglie la restituzione delle chiavi di casa, oppure nel
riaccompagnarla alla famiglia d’origine.
Infine presso gli
antichi greci non esisteva alcuna forma di registrazione del matrimonio. Lo
sposo firmava un contratto con il padre della sposa ed il matrimonio iniziava
ad avere effetto con la convivenza, qualora fosse cessata definitivamente la
convivenza anche il matrimonio si sarebbe rotto.
Torniamo ai nostri
giorni: la diminuzione del tasso di nuzialità nel nostro Paese, direttamente
proporzionale all'aumento dell'età media a cui si contrae il primo matrimonio è
sicuramente imputabile alla difficoltà dei giovani di trovare un impiego
stabile, ma non solo: alla base della crisi del matrimonio non ci sono solo
fattori economici ma anche motivi ideologici e cambiamenti culturali, molti dei
quali vengono direttamente influenzati dallo Stato stesso.
Lungi dal voler
difendere il rito religioso, è comunque doveroso analizzare per un attimo le
statistiche sull’argomento: negli ultimi tempi si parla sempre più di PACS, di
portare quindi sullo stesso piano delle famiglie tradizionale anche coppie che
"tradizionali" certo non sono per le istituzioni come le conosciamo
noi (in questo caso la Chiesa).
Molto è cambiato
dalla legge sul divorzio, entrata in vigore nel lontano 1970: allora fu una
svolta in senso anti-reazionario, un'innovazione, una presa di posizione
femminista, nel senso più nobile del termine; ora, due italiani su dieci si
ritrovano dal giudice entro cinque anni dal matrimonio, e i PACS sembrava
potessero contenere in qualche misura il fenomeno.
Altri dati sembrano
confermare questa tendenza: sono sempre di meno gli italiani che scelgono il
rito religioso (si scende dall'87% al 73%), a favore del rito civile, mentre
raddoppiano le coppie che preferiscono la convivenza, meno impegnativa dal
punto di vista dei vincoli (dall'1,6% al 3,1%).
Il bilancio finale?
Dal 1989 al 2001 i matrimoni sono passati da circa 320.000 a circa 260.000
all'anno. E molto si potrebbe aggiungere degli ultimi undici anni di confusioni
stataliste. La conclusione rimane sempre la medesima, il problema è lo Stato,
organo ultimo a cui spetti il riconoscimento di ogni atto umano!
Dovremmo invece
avere il diritto di scegliere ciò in cui vogliamo credere, purché questa scelta
avvenga in totale libertà e non mediata da alcun soggetto politico o religioso
per legge. E' impossibile pensare di trovare una soluzione al problema morale
legato al matrimonio se prima non si definisce chiaramente il significato di
famiglia: questo sarà possibile solo alla luce di una libera riflessione prima
individuale, poi collettiva, non sotto la spinta di partiti che, purtroppo,
spesso propongono soluzioni semplicistiche solo con l'intento di tirare acqua
al proprio mulino. Forse la tanto discussa questione PACS ha anche questo
merito: di spingere a riflettere, a interrogarsi sul senso del matrimonio, di
far avvertire la necessità di giustificare un valore, un ideale e non un
business statale.
Sempre disponibile sul blog The Road to Liberty (in due parti)
anche sul sito del Movimento Libertario
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